sabato 2 marzo 2013

Un paese ci vuole.


L’altro giorno parlavo della California e di quanto Los Angeles fosse diversa da New York.
In realtà tutte la East Coast è diversa dalla West Coast , quindi la logica vuole che anche il centro America sia a sua volta diverso dalle due coste.  Queste non sono solo mie supposizioni: ho la fortuna di conoscere molte persone provenienti da tante parti degli Stati Uniti che mi hanno raccontato un po’ delle loro storie e delle loro città. Molti di questi si soffermavano sul fatto che i loro paesi erano molto dispersivi e che le proprie famiglie impiegavano ore intere per raggiungere un vicino oppure un parente, che le proprie case erano circondate da campi molto estesi oppure esposti a giorni e giorni di intemperie, durante i quali l’unica cosa da fare era stare a casa davanti alla tv. Alcuni di questi  hanno deciso di lasciare il proprio paese del North Dakota o del Wyoming per studiare a Boston o lavorare a Seattle, perché nel territorio dove risiedevano avevano poche possibilità di praticare il lavoro dei propri sogni o perché non esisteva un corso di studi adatto alle proprie attitudini. O ancora molte di queste persone lasciavano il proprio paese perché offriva poche prospettive di vita sociale. Potete avere una facile idea di quello che sto raccontando attraverso i miei adorati telefilm americani oppure attraverso alcuni reality che impazzano su Mtv: vi è mai capitato di vedere Sixteen and Pregnant? Alcune di queste giovani donzelle vivono in paesi davvero piccoli o in case molto lontane dal centro cittadino. E perché non ricordare il famoso Twilight? Bella e tutta la banda di vampiri e licantropi abitano in una cittadina (immaginaria) di nome Forks veramente dimenticata dal Padreterno, costantemente esposta a intemperie e tristemente attiva a livello sociale.  Certo, ci sono dei grandi centri abitati nel centro America come Denver, Saint Luis, Salt Lake City… Ma è a ridosso delle due coste che vi sono i più grandi agglomerati urbani. Insomma  non tutto il territorio statunitense è strafigo, scintillante, super glam come New York. 

Con questo non voglio assolutamente sfatare il “Mito Americano”, ma riflettere su quanto gli Stati Uniti non siano poi così tanto diversi dagli altri paesi del mondo, da questo punto di vista. Prendiamo la nostra Italia: quanti ragazzi lasciano  il proprio paesino per andare a studiare a Milano, a Roma? Quanti giovani laureati non hanno prospettive lavorative nel proprio paese e decidono di tentare la carta del mollo-tutto-e-vado-via? Quanti di noi viviamo in piccoli paesi, dove ci si conosce tutti ed è impossibile uscire senza salutare il tizio al bar, la cassiera nel minimarket, l’edicolante, la signora anziana del terzo piano che chiacchiera con quella del quarto davanti al portone, l’amico di papà che fa la fila alle poste? Che poi, secondo me, abitare in un piccolo paese o, quantomeno, tornarci spesso non è una cosa così drammatica. Portare il proprio paese, la propria città nel cuore non deve farci sentire meno cool o più retrogradi  rispetto a colore che vivono a Bologna, ma magari provengono da Palomonte e lo nascondono per chissà quale motivo. E allora i francesi cosa dovrebbero dire? Ogni volta che pensiamo alla Francia, immaginiamo Parigi e la Torre Eiffel senza pensare che la Francia è anche Tolosa, Brest, Reen, Avignone, Marsiglia, Nancy, Dijone... I francesi vanno molto fieri del proprio paese e lo rimarcano ogni qualvolta qualcuno li addita come cittadini parigini (I'm French, not Parisienne!). Ma sono sicuro che questo sentimento si manifesti anche nell'animo dei tedeschi, degli svedesi...  E degli americani di cui parlavo prima, come sono sicura che capiti anche a molti italiani e in generale a tutti coloro che sentono che un paese ci vuole. 

Durante il mio ultimo viaggio negli USA, leggevo un libro davvero significativo in merito, Cesare Pavese “La Luna e i Falò”. Il protagonista di questo breve romanzo ritorna nel  suo paesino delle Langhe piemontesi dopo esser stato emigrante degli Stati Uniti durante la Liberazione d’Italia. Al suo rientro ritrova il suo amico di sempre e rivive i luoghi, le persone che la guerra ha cambiato se non addirittura cancellato durante la sua assenza. Alla fine si rende conto che è proprio quel senso di appartenenza ad un luogo, quel senso di famiglia che lo spinge a rientrare, ma che andare via è necessario per aver consapevolezza che il mondo non è racchiuso tra le mura del proprio territorio e che il modo di vivere, di pensare degli abitanti del proprio paese non è ortodossia... Il tutto è racchiuso in una frase memorabile, che porto sempre nella mia testa:




Io provengo da due paesi: quello in cui sono nata e quello in cui sono cresciuta. Due paesi non lontani tra di loro ma molto diversi per modi di vivere, di pensare, per il clima e per il tradizionale pranzo natalizio. Questo fa di me una privilegiata, perché posso sentire due volte il senso di appartenenza oppure una sfigata perché pur avendo vissuto in due posti, alla fine non appartengo veramente a nessuno dei due. Punti di vista. 
Io so solo che amo entrambi e che sono un concentrato di molteplici modi di vivere, di pensare, di dialetti e anche di più tradizioni... Perfino sui pranzi natalizi.

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